Un viaggio che non è solo un viaggio.

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Stamattina mi son svegliata nel letto di casa e mi è sembrato strano, strano non dover rifare la valigia e caricarla in van, strano non guardare fuori dalla finestra e vedere paesaggi infiniti, strano non sentire un “buongiorno” da persone che conoscevo a malapena da qualche giorno. Siamo stati via solo otto giorni, eppure sembra una vita, come se i tempi fossero dilatati, espansi.

Prima di partire ero un po’ preoccupata, arrivavo da un brutto brutto periodo, mesi in cui le mie insicurezze di una vita sono risalite a galla, un periodo in cui non capivo più perché stavo vivendo (sembra un’affermazione forte, lo so, ma era così), un periodo in cui ero bloccata dalla paura. Paura di non aver nulla all’infuori del lavoro, paura di non sapere perché sto qui, paura di non piacere, paura di non riuscire a sentirmi meglio. Avevo prenotato questo viaggio a novembre, spinta dal mio terapeuta, che un giorno in cui ero davvero giù e non sembravo trovare nulla a cui aggrapparmi mi ha chiesto di tirare fuori il mio quadernino dei sogni nel cassetto. Quando ho iniziato la terapia mi ha fatto scrivere un elenco di cose, desideri che ancora non avevo realizzato. Sul momento avevo risposto “non ho sogni”, la mia anima cupa e pessimista si è sempre detta che forse nemmeno quello mi meritavo, di sognare. Perché si sa, sognare porta avanti con la testa, crea mini aspettative e non posso permettermelo. Quindi a distanza di credo di 8 mesi da quando avevo scritto quella lista la tiro fuori e mi dice che è il momento di spuntare qualcosa.

“Andare in Islanda”

“Vedere le foche dal vivo”

“Fare un viaggio con persone sconosciute”

Non ricordo quando è nato questo desiderio, ho sempre letto tanti libri sull’Islanda, son sempre stata affascinata da un posto così diverso e poco abitato. Io che amo il mare, il caldo, ho sempre un sentito un richiamo innato. Sono anni che dico che ci voglio andare, ma non mi sono mai decisa. Il lavoro, i soldi, il poco tempo, chiudere quel cassetto pieno di cose che volevo fare.

L’ho chiuso proprio a chiave per molto tempo. Quasi dimenticandomi che dentro di me c’erano dei desideri.

Quindi quel giorno di novembre spinta da un momento di poca lucidità durante la terapia ho prenotato. Avevo capito che forse era uno di quei momenti nella vita in cui mi dovevo fermare, prendere una pausa, andar via e vedere le cose da lontano.

Qualche settimana prima della partenza sono entrata sul sito per annullare tutto, volevo cancellare il viaggio e lasciar perdere. Mi sembrava il momento sbagliato, mi sentivo io nel punto sbagliato e nello stato sbagliato della mia vita. Mi ero sempre detta quando andrò vorrò essere al top della forma, sentirmi bene con me stessa, essere super carica. Invece in quei giorni non ero nulla di tutto ciò. Ero in un momento (sono ?) in cui mi sentivo come se qualcuno mi avesse masticata e sputata. Sono mesi in cui ho smesso di prendermi cura di me stessa sotto tanti punti di vista, ho ripreso a mangiare male, a non piacermi, a mettermi in dubbio, a sentirmi sempre sbagliata. Avevo paura, terrore di non essere accettata, di non riuscire a socializzare, paura di continuare a paragonarmi agli altri, con questa continua necessità di volermi sentir voluta. Questo è un po’ l’umore con il quale ho fatto la mia valigia, riempita con un po’ di ansie e timori.

Vi potrei dire che sono sparite durante questi otto giorni, ma non è così, non sarebbe la verità, però è un po’ come nella vita: i pattern sbagliati, tossici devono essere pian piano sostituiti da quelli più buoni, come delle erbacce che vengono soffocate da piante più belle e floride.

Il muschio verde, gli uccelli che si scontrano con l’acqua di una cascata, il sole che non tramonta mai, correre con le dita dei piedi gelate a vedere l’aurora boreale, le foche così carine spiaggiate sugli scogli, le spiagge nere, il basalto colonnare, i cieli limpidi, i viaggi in van, le canzoni cantate a squarciagola, il ghiaccio che luccica al sole, le giocate accalorate ad undercover, le suonate emozionate al pianoforte, l’aurora che balla al suono delle nostre imprecazioni di stupore, i pasti al sacco con davanti dei panorami unici, le risate, i polpacci che tirano per una salita, vedere gli altri che si commuovono, sentire di condividere lo stesso stupore. Mi sono riempita di così tante cose belle e positive che quelle bruttine si sono un attimo intimorite e messe in un angolino. Erano lì a frenarmi un pochino, a farmi render conto di essere un po’ chiusa nei confronti degli altri, a sentirmi sempre meno degli altri, ma non mi hanno impedito per una volta di vivere. Perché questo viaggio per me è stato un promemoria di quanto ancora io possa vivere, e voglio ricordarmelo quando mi sento inutile e spenta. Sono felice di averlo fatto con persone che non mi conoscevano, dopo anni mi ha fatto strano dire a persone sconosciute a voce alta che non ho più un papà. A lui l’Islanda sarebbe piaciuta tanto. Mi ha fatto strano il contatto con persone nuove, cosa che sto evitando come la peste oramai da troppo tempo. Mi ha stupita un gruppo di persone così carine tutte insieme, mi son trovata spesso a pensare: c’è probabilmente qualcosa che ci accomuna se siamo tutti qui così emozionati a fissare il cielo, una cascata. Mi sono sentita parte di qualcosa. Mi sono trovata alle tre di notte a piangere in un letto a castello in mezzo al nulla e finalmente non di tristezza ma di felicità.

Un commento Aggiungi il tuo

  1. alicespiga82 ha detto:

    Dev’essere stato un viaggio bellissimo, sia come luoghi, sia come crescita personale. ❤️
    Hai tutta la mia stima. Io non sono mai partita da sola, non per un viaggio così!

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