Sinceramente non so con quale criterio oramai scrivo qui o sul mio “diario”. A volte è un istinto che mi fa prendere la penna oppure che mi fa digitare l’indirizzo del mio blog. Non so se sia una scelta conscia, inconscia, se dentro di me avvenga la selezione delle cose che voglio che gli altri leggano o meno. Sicuro ogni tanto mi dico “pensa quando morirò e troveranno questo diario e leggeranno le cose hard core che c’ho scritto dentro”. Mi piace immaginarmi gli altri mentre mi leggono. Che pensate? Dove siete?
In questo periodo va tutto un po’ una merda, o meglio, spiegavo l’altro giorno in terapia che mi sento dentro una valanga, che sfreccia giù da una montagna e si trascina dietro tante cose: il mio lavoro, la mia vita sessuale, la mia vita sentimentale, quella sociale, il mio corpo, i miei pensieri. E Mi sembra una caduta infinita. Ieri mi son seduta per iniziare la seduta e alla domanda “come va” ho risposto con questa similitudine. E che quando mi siedo a parlare con il mio terapeuta è come se questa frana un pochino forse non rallentasse, ma diventasse meno informe e mi facesse vedere bene tutti gli elementi che si sta trascinando dentro. E la stessa cosa mi succede quando pratico yoga. Ho queste sue cose nella mia vita che sono come delle luci che illuminano la merda in cui sto. Ora il punto è: spegniamo queste luci, evitiamo tutto e continuiamo questa discesa pazza oppure le lasciamo accese e proviamo a decomporre e comprendere tutto quello che ci sta dentro? Bella domanda.
Normalmente nella mia vita, ho sempre fatto la prima cosa. Ma come mi dice il mio terapeuta se continuo a presentarmi forse è perché qualcosa voglio cambiare. Se continuo a srotolare quel tappetino la mattina anche. Eppure è come se dentro di me non bastasse presentarmi. Sento che c’è ancora qualcosa di granitico che non riesco a sciogliere e mi trovo in questo bivio a guardarmi intorno e a cercare di capire che strada devo prendere.
A livello mio personale, fisico e in quanto corpo che si muove nel mondo, non sta andando molto bene. Dopo un periodo in cui davvero avevo capito che questo corpo è la mia casa, ultimamente me ne sto un po’ scordando o meglio, me ne ricordo a metà. Non mi sto trattando sempre bene, sto mangiando male, sto seduta tutto il giorno a lavorare, non mi riconosco nei rotoli di grasso e nelle smagliature. Quell’opera di riscoperta e liberazione che stavo facendo, sta quasi avendo un involuzione: strati di materiale mi stanno ricoprendo, appesantendo. Non mi piace questa casa in cui sto ora, eppure non trovo il modo e la chiave per ritornare ad amarla. Forse penso di meritarmi in questo periodo di stare così. Forse non sentirmi più così era strano, stava uscendo dai binari dell’identità che mi sono costruita negli anni, dal mio copione. Forse cerco quella casa negli altri, sempre fuori da me. Anche se ultimamente anche questa cosa non sta funzionando, si è rotto un po’ questo giochino. Sentirmi dire che sono carina, che sono una bella persona mi faceva stare meglio, ora non più. Ora mi fa persino dubitare che forse le persone si sono fatte un’idea sbagliata di me: forse han visto una foto dove stavo particolarmente bene, forse mi hanno beccata in un giorno in cui ero più brillante del solito, forse mi frequentano perché non hanno di meglio da fare o persone migliori da frequentare. Di meglio. Meglio di me. Perché è impensabile che una persona scelga di condividere una serata con me, una chiacchiera, qualsiasi cosa. La mia testa pensa sempre vabbè oggi è così ma domani ci sarà di meglio. E vivo tutto con l’ansia dell’abbandono dietro l’angolo, del rifiuto. Anche quando sono sincera e parlo da un posto caldo dentro di me temo di essere fraintesa, percepita male, temo che le persone cambino idea su di me. Mi sembra sempre di camminare su un ponte instabile e traballante. E quando non è così mi stupisco, mi guardo fuori e mi dico “ma sei sicura? Cioè impossibile che qui stia andando tutto tranquillo” ed entro in paranoia. È faticoso. Ma è più faticoso cercare tutto fuori o cercare tutto dentro?
E’ strano come io senta di fare tanti passi avanti ma come poi vada sempre ad enfatizzare quello che faccio indietro. Oggi mi sento proprio scaraventata all’indietro. Mi sento tornata quella bambina insicura che sa di fare schifo, sa di non meritarsi nulla dagli altri, non amore, non affetto, non attenzione. Per questo metto tutto in dubbio, per questo dietro a silenzi, a frasi ambigue io ci vedo subito l’abbandono. Perché è quello che ho sempre conosciuto, quello che sempre mi ha fatta sentire sbagliata, fino a non provarci più: con gli amici, con gli uomini, con le persone. “Tu non sei okay e gli altri sono okay” mi dice il mio terapeuta. È vero. L’ho sempre vista così. Gli altri sono okay e possono giudicare che io non lo sia, possono decidere di cancellarmi dalle loro vite, di aver cambiato idea su di me, di aver preso una svista. Io non lo faccio quasi mai perché vi vedo tutti okay, quella sbagliata sono sempre io. Che bello eh tornare a sentirsi così! Pensavo di aver smesso.
Invece capita quando mi lascio andare, quando apro la porticina di questo corpo, cuore e dico “va bene vi faccio entrare”. Che paura far entrare gli altri. Che paura farsi vedere. Far vedere il proprio corpo, il proprio cervello, il proprio cuore. Così è alla mercé di tutti. Prendete e fatene quel che volete. Che senso di libertà, ma anche che senso di impotenza allo stesso tempo, tu non puoi decidere cosa gli altri fanno di te e di quello che gli dai. Tu non sei padrone degli altri, sei padrone solo di te stesso. Gli altri vivono e stanno nel mondo e a volte non porgono troppa cura a quello che gli dai, a volte lo calpestano, altre volte lo apprezzano solo per il tempo del soddisfacimento di un loro desiderio temporaneo, altre volte lo custodiscono. Ma io non ho potere. Posso pensare di averlo, posso dirmi “potevo dire, potevo fare, potevo evitare” la cosa che mi dico spesso ultimamente è “hai cagato fuori dal vaso”, mi rimprovero sempre di aver detto qualcosa di troppo che se avessi evitato di dire avrebbe irrimediabilmente cambiato il destino di quel rapporto. Sarà poi così? Ma posso vivere continuamente incolpandomi di tutto?
Mi incolpo spesso anche della mia ingenuità, del mio essere forse troppo trasparente. “Sei una cogliona” mi dico. Mi do della stupida quando vedo le persone che mi deludono, che hanno comportamenti striscianti ed egoisti. Ci rimango male e penso anche un po’ di meritarmelo.
Questo è proprio tutto quello che sto cercando di destrutturare in terapia, questo mio sentirmi sempre sbagliata e non darmi tregua, non darmi una pacca sulla spalla, non prendermi il tempo di godere delle piccole vittorie ma fare una cerimonia delle tragedie. È difficilissimo. Trovo davvero davvero complicato non cadere in questi pattern che conosco così bene. Trovo estenuante però la lotta che sto facendo per imparare a non farlo. Trovo importante che io sia qui ancora a scriverne. Forse vuol dire che sono viva. Spero che qualcuno lo veda, che qualcuno mi veda, che io mi riconosca.
Leggo il tuo blog da… un po’, diciamo. Le tue paturnie sono le paturnie di tanti e viste da fuori potrebbero essere facilmente giudicabili. L’istinto è forte.
Però.
Però se nella stesso merdone ci sei passato, magari ci pensi un attimo prima di giudicare le persone.
Leggendoti arriva la voglia di cambiare le cose, se sei stato in terapia almeno 20 minuti sai che è la base di partenza. Poi oh, mica uno ha la bacchetta magica.
Buona fortuna.
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